Park Associati

Park Associati nasce come studio di architettura nel 2000 dalla collaborazione tra Filippo Pagliani e Michele Rossi, che condividono il rifiuto per un’idea di progettazione solitaria e individualizzata.
Oggi, lo studio è un vero e proprio parco creativo e conta altri 23 collaboratori che lavorano insieme, in un’atmosfera di scambio e interazione continua. Un’altra caratteristica dello studio è la scelta di non specializzarsi, ma lavorare secondo i vecchi canoni del mestiere, spaziando su tutti i tipi di progetti. Una scelta che ha funzionato, e grazie alla quale lo studio vanta oggi un portfolio molto variegato, che va dal design agli interni al retail, fino allo sviluppo di pezzi di città. Inoltre, essendo nato e cresciuto in una fase in cui l’architettura si è trovata a confrontarsi con i concetti di sostenibilità e qualità della costruzione, lo studio ha da tempo adottato precisi standard di riferimento per il proprio lavoro. In particolare, tra i progetti di cui lo studio si sta occupando, sta prendendo sempre più rilevanza il filone della ristrutturazione di edifici costruiti tra gli anni ’60 e i primi ’80, anni in cui l’idea di qualità costruttiva aveva conosciuto un calo: un tema che avrà sempre più spazio nei prossimi anni, in città come Milano, e che connette la questione della sostenibilità a quella del riuso e del come riportare la qualità nel già costruito.

 

Noi che facciamo questo mestiere siamo assediati dalla questione sostenibilità. Occorre però mettersi d’accordo, perché “sostenibilità” è una parola abusata, e pur avendo un dottorato e una preparazione specifica su questi temi, spesso mi ritrovo a non capire cosa si intenda oggi con questo termine. Certo, noi come studio di architettura sappiamo quali elementi rendono un edificio più o meno sostenibile – elementi che abbiamo assimilato da tempo nella nostra progettazione, tanto che ormai per noi è scontato lavorare in questo modo. Ma allo stesso tempo, appena si esce dallo specifico, diventa difficile far corrispondere alla parola un valore definito, che si possa dare per acquisito da tutti gli attori del sistema, al di là del puro discorso commerciale del rispetto degli standard energetici e certificazioni ambientali. Il problema della sostenibilità oggi non può infatti essere ricondotto soltanto a quello della costruzione di edifici tecnicamente a impatto zero dal punto di vista del funzionamento energetico, anche perchè qualsiasi edificio – se consideriamo anche gli impatti della fase di costruzione – ha un effetto negativo, che nessun funzionamento a impatto zero potrà comunque mai compensare. La vera posta in gioco della sostenibilità è quale impatto reale hanno poi questi edifici sul territorio, sul sistema produttivo e sulla vita delle persone nel tempo, perché è questo l’indicatore che stabilisce se l’intervento di trasformazione alla fine dei conti ha prodotto o consumato valore per il territorio. Ad esempio noi abbiamo sviluppato un progetto headquarter per la Salewa a Bolzano, un edificio polifunzionale (hub, palestra arrampicata, palestra asilo, negozio, bistrò collegato a giardino pubblico, aperto al territorio) certificato in Casaclima Work&life. In questo caso il percorso di certificazione ci ha imposto una serie di elementi come smaltimento rifiuti, spazi per biciclette… meccanismi che vanno al di là della pura certificazione energetica. A distanza di due anni possiamo dire che la presenza di questo edificio ha modificato il territorio, è diventato un luogo di riferimento che ha cambiato la percezione e le qualità di vita della periferia industriale nella quale si è inserito, innestando processi sociali virtuosi a livello urbano.

Per un progetto complesso come quello di Milanofiori ci vorrà credo qualche anno per capire il valore dell’intervento: il quartiere non è ancora completato e uscito dalla fase di rodaggio, e i meccanismi sociali sono ancora da innescare… Come osservatori tecnici possiamo già però verificare l'esistenza di alcune importanti pre-condizioni: indubbiamente dietro questa operazione c’è stato un tentativo di creare un tessuto urbano variegato, con delle caratteristiche anche qualitative importanti... Poi certo, si tratta anche di un’operazione immobiliare, ma un’operazione condotta secondo un’idea nobile, che nasce da una ricerca, da una lunga riflessione anche intellettuale legata all’idea di nuova città, e da una visione imprenditoriale di intervento di qualità. Ma è un processo non scontato, che poi ovviamente si realizza scontrandosi con le difficolta del mondo della costruzione, e che ha bisogno di sedimentarsi: se è andato nella direzione corretta, si potrà dire solo tra 15 o 20 anni, in base alla risposta del territorio, e a come gli utenti si approprieranno dei singoli luoghi.

Quando Jones Lang Lasalle ha aperto un concorso per conto di Nestlé Italiana per trovare l’area più adatta dove costruire il nuovo quartier generale della società, Brioschi ci ha coinvolto nella gara. Per 8/9 mesi abbiamo lavorato senza sapere chi fosse il cliente finale. Le aree in lizza erano due, alla fine è stata scelta Milanofiori Nord, credo per due motivi soprattutto: la presenza della metropolitana, e il fatto che noi abbiamo saputo costruire un progetto quasi sartoriale, tagliato su misura sulla base delle informazioni ricevute. Tra le indicazioni ricevute, oltre alla decisione di puntare alla certificazione LEED in classe gold, c’erano alcune scelte architettoniche che hanno rappresentato una sfida per noi: il fatto che dovesse essere un edificio a corte chiusa, e tutto a vetri: abbiamo risposto a questa sfida facendo molta ricerca sulla qualità del vetro e inventando una soluzione interessante: un edificio un po’ sollevato, con un gioco di “scatole volanti”… Oggi sulla carta abbiamo un edificio che garantisce prestazioni tecniche ed energetiche eccezionali, collocato in classe energetica B e certificato LEED gold: il massimo possibile, per un edificio di queste caratteristiche, con vetri che garantiscono prestazioni paragonabili a quelle di una parete opaca.

Bisognerà poi capire come reagiscono le persone a questo nuovo edificio, alla sua presenza. Adesso c’è ancora il cantiere, ed è difficile immaginare come sarà: l’impatto dovrebbe cambiare molto, una volta che l’edificio svetterà dal basamento di terracotta sulla collina, e sarà circondato da tutta un’area verd.e

Con Brioschi abbiamo una relazione molto positiva che dura da anni. Quello con Brioschi per noi è stato un incontro importante: eravamo ancora uno studio giovane quando nel 2006 ci hanno individuato tra i vincitori del concorso per lotti destinati ad uffici del comparto di Milanofiori. Questa è stata un’esperienza che ci ha dato modo di crescere e ci ha permesso di cambiare marcia sulla qualità e dimensione dei progetti. Il progetto che avevamo presentato poi non si è mai realizzato a causa della crisi del mercato immobiliare, ma è stato l’inizio di una relazione che ci ha portati a presentare e vincere insieme il bando di Nestlé con il progetto dell’U27, che è il risultato di 8 anni di storia comune. Con Brioschi abbiamo anche sperimentato per la prima volta la formula di affiancamento con una società d’ingegneria, formula che il Gruppo ha ricavato dall’esperienza e conoscenza profonda dei processi di sviluppo immobiliare. È una modalità che abbiamo accolto con grande interesse, e che oggi applichiamo anche in altre esperienze, perché ci siamo resi conto che effettivamente è d’aiuto in una realtà che sta diventando sempre più complessa. Ci permette di tenere separata la parte più creativa e architettonica che sappiamo fare bene da quella legata alla direzione lavori ecc…affidandola a chi la sa fare altrettanto bene. Questo garantisce sui tempi, la qualità, i costi, perché permette di tenere meglio sotto controllo il progetto. Inoltre, si tratta di un modo di lavorare che ci è particolarmente congeniale, perché come studio rifiutiamo l’idea di una progettazione solitaria, individualizzata: crediamo nell’idea di un parco creativo, un luogo di interazioni, dove la gente lavora insieme, in un continuo scambio di informazioni e pensieri. Per questo per noi è normale dialogare con committenti, tecnici, fornitori, sviluppatori: non li consideriamo nemmeno esterni: fanno parte del gioco, per costruire un edificio come l’U27 si deve mettere insieme una macchina di più di 600 persone… Oggi il nostro è un mestiere di relazione: non esiste più l’architetto come individual contributor che lavora al suo progetto in isolamento. Molte delle nostre scelte sono pilotate dall’esterno: siamo dei tecnologi con capacità di visione e di interpretazione creativa delle esigenze dei clienti, che per trovare soluzioni devono saper ascoltare e dialogare con tutte le parti coinvolte. E a questo proposito, un elemento importante della collaborazione con Brioschi è la qualità umana delle relazioni che caratterizza anche lo stile di lavoro e la qualità dei progetti: tra noi c’è sempre stato un dialogo aperto con un’intesa che va al di là della cortesia professionale, e che si estende anche al piano valoriale.

Filippo Pagliani

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